lunedì 22 giugno 2015

Qualche principio di economia aziendale

Si parla spessissimo, sui giornali, in televisione, al bar, di economia, di crisi, di desertificazione industriale, di "liberismo", eppure sarei disposto a scommettere che un gran numero di voi non è in grado di definire in maniera semplice cos'è un'azienda. Questo per una serie di motivi, il primo dei quali è la mancanza di cultura economica. Le scuole a riguardo non si impegnano a sufficienza. Eppure per molti studenti l'azienda sarà una parte fondamentale, e molto ingombrante, della vita: molto più della Divina Commedia!

Intendiamoci: non sono certo un esperto di economia aziendale, però mi son detto che male non fa parlare in maniera grossolana di pochi fondamentali concetti che chi è esperto in materia forse dà per assodati, e che invece sono utilissimi a valutare le principali dinamiche economiche e industriali che stanno dietro a certi accadimenti: la vendita o la chiusura di un'azienda, per esempio; e riflettere su certe approssimative affermazioni da talk show.

Un'azienda è un insieme di capitali e persone. L'azienda gestisce il capitale in accordo con la missione aziendale per accrescerne il valore, tramite il lavoro delle persone, e in maniera tale da poter remunerare gli azionisti (i prestatori di capitale), i lavoratori (i prestatori d'opera), e i servizi (le tasse e le imposte). Azienda = capitali + persone.

Un'azienda, che per missione aziendale vuole essere leader nella produzione e commercializzazione di attaccapanni rossi, tenterà di accrescere il proprio capitale principalmente attraverso la produzione e la vendita di attaccapanni rossi, anche se potrebbe farlo in maniere più remunerative, ad esempio utilizzando il capitale per speculare in borsa.

Quanto bisogna accrescere il capitale? Almeno tanto da poter remunerare in maniera "equa" gli azionisti, e possibilmente di più. Il capitale aziendale, abbiamo detto, è una parte imprescindibile dell'impresa. Senza di esso non ci sono impieghi, ovvero non esiste l'azienda. 

Il capitale è composto da due quote: quello di debito, contratto con le banche, e quello dei soci (l'equity). Entrambi vanno remunerati: un euro oggi vale più di un euro domani. Il capitale di debito va pagato con gli interessi; ai soci va riconosciuta una remunerazione di rischio. Più l'investimento è rischioso e più il rendimento del capitale investito deve essere elevato, altrimenti i capitali degli azionisti andranno su investimenti più convenienti.

Senza entrare nei dettagli finanziari, facciamo un esempio concreto e molto semplice: supponiamo che un'azienda impieghi un capitale totale di 100.000€, che serviranno per comprare i macchinari, approvvigionare le materie prime, pagare gli stipendi e così via. Supponiamo anche che questo capitale sia composto per 50.000€ di equity (ovvero capitale di rischio, quello degli azionisti) e per altri 50.000€ di debiti bancari, da restituire a un interesse dell'8%. Supponiamo inoltre che, in base al profilo di rischio aziendale, gli azionisti si aspettino un rendimento del 15%.

Bene, l'azienda investe questi soldi e riesce a produrre e vendere per un valore totale di 200.000€, a un costo totale di 180.000€ (quindi abbiamo già pagato investimenti, lavoratori, fornitori, utenze, affitti..) Questo vuol dire che alla fine dell'anno abbiamo fatto un utile (risultato operativo netto - EBIT) di 20.000€, e dobbiamo ancora pagare gli interessi alle banche, e le tasse. 50.000€ è il debito bancario. Se paghiamo solo gli interessi dobbiamo alle banche 4.000€. Ci rimangono 16.000€ sui quali paghiamo il 55% di imposte; pagati anche gli oneri fiscali ci rimangono 7200€.


Questa è un'azienda che fa utile. Molti di voi penseranno che è sufficiente questo per dire che è un'azienda "sana", economicamente sostenibile. E' davvero così? Supponiamo che il consiglio di amministrazione decida di distribuire tutto l'utile agli azionisti, ebbene essi riceveranno il 14.5% circa del loro capitale investito, come remunerazione. Non è abbastanza! Abbiamo detto che il profilo di rischio dello specifico investimento avrebbe richiesto il 15% di rendimento. Quindi non solo l'azienda non ha remunerato a sufficienza gli investitori, ma non ha nemmeno prodotto sufficiente valore aggiunto da poter reinvestire nell'azienda stessa. Questo produce due risultati:

  1. Gli investitori sposteranno il loro capitale su investimenti più convenienti o meno rischiosi
  2. L'azienda dovrà indebitarsi ulteriormente per finanziare nuovi investimenti, aumenterà ancora il suo profilo di rischio, e dovrà remunerare ancora di più il capitale di rischio.
Dobbiamo quindi remunerare gli investitori, e non abbiamo ancora fatto abbastanza. Dovremo anche portare a casa qualcosina in più che ci permetta di investire (in ricerca e sviluppo, nuovi prodotti, nuovi impianti....) senza indebitarci ulteriormente (indipendenza finanziaria), o chiedere ulteriori aumenti di capitale agli azionisti.

Fare utili è una condizione necessaria, ma non è sufficiente! E' anche utile notare che l'equilibrio fra capitale proprio (equity) e capitale di terzi (debiti con le banche) è importantissimo: il capitale proprio, in genere, costa molto di più degli oneri finanziari derivanti dai debiti, ma se ci si indebita troppo si aumenta il profilo di rischio dell'azienda. Il rapporto fra debiti e patrimonio netto, indice di indebitamento (Debt/Equity), è uno dei parametri con cui si valuta lo stato di salute di un'azienda.

Qualche tempo fa ascoltavo in tv un sindacalista lamentarsi della svendita, a suo modo di vedere, di Ansaldo Breda ai Giapponesi di Hitachi. Sosteneva fosse stata svalutata perché "aveva un sacco di commesse". Quanto spesso sentiamo che l'azienda tale è stata svenduta, e valeva molto di più semplicemente perché "faceva utili". A questo punto dovrebbe esser chiaro che queste valutazioni, fatte in questa maniera, sono insensate. Valutare il valore di un'azienda è difficilissimo, e il valore è generalmente correlato a una valutazione dello stato attuale (asset totali, quindi patrimonio immobiliare, macchinari, ma anche brand, know-how...), e della capacità futura di generare ricchezza (e qua siamo quasi nel campo della chiaroveggenza).

Le aziende si reggono su equilibri finanziari delicatissimi, e continuamente perturbati dalle condizioni del mercato (concorrenza, crisi economiche, eventi ambientali imprevedibili), e non possono prescindere dalla fiducia degli investitori. Il capitale costa, più dei debiti, perché un euro oggi vale molto di più di un euro domani.

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